#Bicocca20: La ricerca su gessi, salgemma e sali di potassio e magnesio del Mediterraneo

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Gessi sali e salgemma Corselli

Continuano le interviste degli speciali #Bicocca20 che ci accompagneranno da qui al prossimo giugno 2018, quando il nostro Ateneo compirà 20 anni dalla sua istituzione. In questi speciali ricorderemo alcuni dei risultati più significativi ottenuti dalle attività di ricerca del nostro Ateneo condotte nei vari settori disciplinari, dal 1998 ad oggi. 

Gessi, salgemma e sali di potassio e magnesio sono alla base dell'assenza di ossigeno nei bacini ipersalini del Mar Mediterraneo. E’ questo l’oggetto di una ricerca interdisicplinare i cui risultati sono stati pubblicati su Science (2005), Nature (2006), PNAS (2009). Ne abbiamo parlato con il coordinatore  della ricerca, il professor Cesare Corselli.

 

Professor Corselli in cosa consiste lo studio?

Il Mediterraneo orientale, specialmente l’area a sud dell’isola di Creta è interessato, in modo importante, dalla spinta che si produce tra la zolla africana e quella euroasiatica. I sedimenti marini e le rocce che si sono formati nel tempo (l’area è geologicamente molto antica) rimangono come chiusi in una morsa e vengono deformati a formare una catena di rilievi sottomarini (Dorsale Mediterranea). Tra le rocce presenti vi sono i depositi di carbonato, gesso, salgemma e sali potassici/magnesiaci che si sono formati circa 6 milioni di anni fa quando il Mediterraneo è evaporato, venendo a mancare un collegamento diretto con l’Oceano Atlantico.

Lo stretto di Gibilterra non esisteva e si aprirà circa 5,6 milioni di anni fa, riportando le acque marine a riempire il bacino. Lungo la Dorsale Mediterranea nella fase, ancora attiva oggi, di sollevamento si sono formati rilievi e depressioni. Lungo le pareti di questi rilievi e nelle zone depresse le rocce evaporitiche (ad esempio calcari e gessi) a contatto con l’acqua marina hanno cominciato a sciogliersi: prima i sali potassici e magnesiaci, poi il salgemma e infine in parte i gessi. Questo processo ha portato alla formazione di salamoie ad alta densità (salinità dell’ordine del 300 per mille contro il 35 per mille dei mari) che, accumulandosi nelle zone depresse, hanno formato alcuni “laghi”, a profondità superiori a 3000 metri.

Lo scambio con l’acqua marina normale a causa della forte differenza di densità é molto lento e le salamoie rimangono sul fondo. Scoperte nel 1983 e studiate in dettaglio a partire dal 1984 dall’Università di Milano, guidata dalla Prof.ssa Maria Bianca Cita, e successivamente da Milano-Bicocca e numerose università ed enti di ricerca anche stranieri, rappresentano un ambiente molto simile agli oceani del lontano passato (più di 2 miliardi di anni) dove la vita, legata a batteri anaerobici, è cominciata.

L’idea che questi ambienti contenessero una comunità batterica particolare è nata verso la fine del secolo scorso e il progetto BIODEEP (BIOtechnologies from the DEEP, 2001-2004), coordinato da Milano-Bicocca  e con ricercatori italiani ed europei di numerose discipline, aveva l’obiettivo di cercare e studiare questi batteri. 

Cosa significa avere ambienti marini senza ossigeno?

La mancanza di ossigeno è dovuta al fatto che lo scambio con le acque marine soprastanti ben ossigenate  è, come detto, molto lento e difficile, e dunque la materia organica che proviene dalle acque più superficiali una volta raggiunta l’interfaccia con le salamoie non può più essere utilizzata da batteri aerobici ma solo gli anaerobici possono essere attivi. Il poco ossigeno, se presente, è stato velocemente consumato nelle prime fasi della formazione delle salamoie.

Queste salamoie come si è visto contengono comunità batteriche molto particolari definite “estremofile" e difficilmente riscontrabili negli ambienti marini. Rappresentano perciò una fonte potenziale per la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti biotecnologici in diversi campi di applicazione.

Perché sono importanti questi risultati?

Nel progetto BIODEEP era presente una società francese “Proteus” che aveva  il compito di sviluppare, con i microbiologi e biotecnologi  del progetto, queste nuove applicazioni. Ancora oggi a distanza di più di 10 anni dalla fine del progetto Proteus è interessata a ciò che i ricercatori stanno sviluppando sui campioni provenienti dalle diverse salamoie (oggi si conosco 9 di questi “laghi”).

Quali sono gli studi in cui è impegnato, in questo momento, il suo gruppo di ricerca e quali sono i prossimi obiettivi?

Oggi la mancanza di una nave da ricerca adatta, disponibile per i ricercatori universitari, impedisce anche a Milano-Bicocca di continuare le ricerche in ambienti così profondi che però’ continuano ad essere “visitati” da altri gruppi di ricerca nazionali ed internazionali.

La geologia e la geobiologia marine dell’Ateneo sono oggi orientate essenzialmente a studiare ambienti meno profondi come i “coralli bianchi” riscoperti in un progetto FIRB (APLABES)  guidato da Milano-Bicocca.

Contribuiscono inoltre alla “Marine Strategy” nazionale con lo studio dei fondi ad alghe calcaree, nonchè alla realizzazione di carte dettagliate degli habitat presenti sia sulla piattaforma continentale sia sulla  scarpata non solo del Mediterraneo ma, anche delle isole Maldive e dell’Oceano indiano, in collaborazione con il centro MaRHE.

Tutti i risultati di queste ricerche sono visibili sul sito http://www.conismamibi.it.

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#Bicocca20 è una storia di ricerca, didattica e innovazione. Volti di uomini e di donne che hanno fatto la storia di Milano-Bicocca. Ed è per questo che attraverso le ricerche e gli studi più significativi vogliamo raccontare la vita del Campus vista dai laboratori.

a cura di Redazione Centrale, ultimo aggiornamento il 15/01/2018