Milano, 14 maggio 2008 - A un ventennio dall'approvazione dell'attuale codice di procedura penale italiano (emanato con D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447 e in vigore dal 24 ottobre del 1989), appare legittimo tracciare un primo bilancio storiografico sul rito che lo ha preceduto, il cosiddetto «codice Rocco» del 1930, al fine di comprendere se e quale eredità esso abbia lasciato nella attuale cultura processual-penalistica, anche alla luce delle recenti proposte di riforma elaborate dalla Commissione Riccio.
Dal 1925, quando furono avviati i lavori preparatori, il codice Rocco ha attraversato le stagioni cruciali dell'Italia del Novecento: dalla parabola del fascismo al primo dopoguerra, dal boom economico alle emergenze del terrorismo e dello stragismo. Profonda è stata la sua influenza sulla cultura processualpenale, che ne ha assorbito - secondo una formula coniata da uno dei piú insigni detrattori- l'inconscio inquisitorio.
Ed è proprio questo il titolo delle giornate di studio che la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano Bicocca organizza per il 5-6 Giugno 2008 (Edificio U6, Aula 4, Milano, Piazza dell'Ateneo Nuovo, 1), in cui storici del diritto e processualpenalisti si confronteranno sui profili ideologici, tecnico-giuridici ed applicativi che hanno caratterizzato il passato prossimo della nostra procedura penale.
L'obiettivo è di ricondurre i tasselli della ricerca entro un quadro composito ma unitario, partendo da alcuni spunti di riflessione: primo tra tutti, il controverso rapporto tra il testo normativo e la cultura giuridica fascista che lo elaborò e ne verificò il primo decennio di applicazione, prima e durante la tragedia della guerra. Si tratta di comprendere se, oggi come allora, la forma inquisitoria del processo costituisca un corollario pressoché inevitabile dei regimi politici autoritari o si ponga invece come possibile opzione anche di strutture liberal-democratiche.
Altro punto chiave, che si propone come tema di viva attualità, è il ruolo assolto dalla magistratura nella giustizia penale del ventennio, al fine di cogliere se essa conservò una qualche indipendenza o si ridusse a mero strumento politico. Dagli anni del dopoguerra in poi il codice si è presentato come ingombrante fardello del passato, chiamato a convivere con le trasformazioni politico-istituzionali in atto: si pensi alla dialettica autorità/libertà nell'ordinamento costituzionale repubblicano, agli intereventi della giurisprudenza costituzionale e ai i tentativi di riforma degli anni '50-'70, fino a capire se di quel rito penale sopravviva una qualche eredità, più o meno nascosta nel codice vigente e nella mentalità dei pratici dei giorni nostri.
Illustri testimoni del tempo e autorevoli studiosi del processo penale che animeranno le due giornate di incontro s'interrogheranno su questo travagliato segmento della storia recente: dinamiche quanto mai delicate di fronte all'uso «politico» della giustizia, ad alcuni rigurgiti di giustizialismo e ad una sotterranea erosione di valori che minano, nel rispetto formale della legalità, le garanzie sostanziali della persona.