Ecco le nanoantenne invisibili che non sprecano energia solare

Mercoledì, 2 Ottobre 2019

Nanoparticelle porose fluorescenti che catturano e modificano l’energia della luce emessa dal Sole, come delle piccole antenne invisibili. Gli emitting porous aromatic frameworks (ePAF) sono il nuovo materiale sviluppato dall’Università di Milano-Bicocca per cercare di non sprecare neanche un raggio luminoso (un fotone per la fisica quantistica) prodotto dalla nostra stella.

Il Sole irradia la Terra con un infinito spettro di frequenze elettromagnetiche, un arcobaleno di colori come violetto, blu, azzurro, verde, giallo, arancione e rosso. Ogni colore corrisponde ad un fotone con diversa energia, e tutti possono essere raccolti per produrre elettricità. Le tecnologie fotovoltaiche attualmente in uso non sono però in grado di sfruttare tutto lo spettro solare, e nel migliore dei casi i dispositivi arrivano a raccogliere solo due terzi dei fotoni disponibili.

Per rendere più efficienti i dispositivi il cui funzionamento si basa sull’assorbimento della luce solare (come ad esempio le celle solari) è necessario sfruttare una strategia che consenta di sfruttare la luce sprecata. Per risolvere questo problema, un team di ricercatori del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca, guidati da Angelo Monguzzi, professore associato di Fisica Sperimentale della Materia, e da Angiolina Comotti, professore ordinario di Chimica Industriale, ha progettato e sintetizzato delle particolari nanoparticelle porose multicomponente fluorescenti (ePAF) per migliorare l’efficienza di raccolta della luce delle celle solari.

I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati su Advanced Materials, con il titolo "Engineering Porous Emitting Framework Nanoparticles with Integrated Sensitizers for Low-Power Photon Upconversion by Triplet Fusion" (doi: 10.1002/adma.201903309).

Le nanoparticelle porose multicomponente fluorescenti (ePAF) catturano i fotoni sprecati e li convertono in fotoni ad alta energia che vengono poi facilmente assorbiti dai dispositivi. Questa trasformazione (il cosiddetto meccanismo di upconversion) funziona grazie all’interazione tra due molecole: un’antenna, che cattura l’energia all’interno della nanoparticella porosa, ed un convertitore/emettitore, che costituisce la struttura della particella stessa, che riceve l’energia dall’antenna e genera i fotoni ad alta energia

Si tratta del primo esempio di materiale solido completamente organico multicomponente per upconversion di fotoni, da integrare in dispositivi funzionanti per migliorarne la performance e favorirne l’utilizzo su larga scala come fonte di energia rinnovabile. Questo nanomateriale mostra efficienze simili ai sistemi modello in liquido, poco adatti ad essere integrati in dispositivi reali.  

«In questo sistema - spiega Angelo Monguzzi - le molecole convertitore sono artificialmente organizzate in un reticolo irregolare che permette il trasporto dell’energia assorbita e quindi la manipolazione della luce solare». «Il grande vantaggio di questo sistema- continua Angiolina Comotti - è la possibilità di sfruttare l’alto grado di porosità del reticolo per incorporare la quantità desiderata di molecola antenna controllando la composizione del materiale finale che regola l’efficienza del processo di conversione». «La realizzazione di questo materiale complesso - conclude Monguzzi -  si basa su concetti assolutamente generali, che potranno portare allo sviluppo di nuovi nanomateriali luminescenti avanzati da impiegare in altri campi della fotonica e dell’optoelettronica, per esempio per produrre nuovi markers per bio-imaging e nuovi sensori luminosi per sostanze nocive e pericolose».

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