Milano, 22 marzo 2011 – I pazienti affetti da leucemia mieloide cronica (LMC) trattati per due anni con imatinib hanno un tasso di mortalità simile a quello della popolazione sana.Lo ha dimostrato la ricerca denominata ILTE (imatinib long time effects), i cui risultati sono stati pubblicati oggi sul sito del Journal of the National Cancer Institute (http://jnci.oxfordjournals.org/) mentre nel numero di aprile della rivista sarà pubblicato l’articolo.
Lo studio ILTE, coordinato da Carlo Gambacorti Passerini, professore associato di Medicina Interna presso la facoltà di Medicina dell’Università di Milano-Bicocca, è la prima valutazione indipendente su un ampio numero di pazienti che ha dimostrato che, anche in presenza di effetti collaterali, i tassi di sopravvivenza sono rimasti elevati dopo otto anni di trattamento con il farmaco.Prima di questo studio, infatti, le uniche informazioni sugli effetti a lungo termine dell’assunzione per via orale di imatinib provenivano da ricerche sponsorizzate dall'industria farmaceutica e condotte in centri selezionati.
La ricerca, tutta italiana nella pianificazione, condotta da Carlo Gambacorti-Passerini e colleghi ha arruolato 832 pazienti di 27 centri in Europa, Nord e Sud America, Africa , Medio Oriente e Asia che erano in remissione citogenetica completa dopo due anni di assunzione del farmaco. Venti decessi si sono verificati durante il follow-up, pari a un tasso di mortalità del 4,8 per cento, simile a quanto ci si aspetterebbe in un gruppo analogo di persone nella popolazione sana. Solo sei di questi decessi sono stati legati alla leucemia mieloide cronica. Gli eventi avversi gravi, come ad esempio i problemi del sistema cardiovascolare e digestivo, sono stati riportati in 139 pazienti, ma sono stati considerati correlati al trattamento con imatinib in soli 27 casi, pari al 19 per cento.
«I dati – dice Carlo Gambacorti-Passerini - mostrano che questi pazienti hanno una aspettativa di vita normale: questo dovrà avere importanti ripercussioni sociali in molti aspetti come lavoro, assicurazioni, adozioni, concessione di mutui, solo per citarne alcuni, ambiti nei quali ora prevale un trattamento diverso, discriminatorio, basato su concetti vecchi e definitivamente distrutti da questi dati».
Eventi avversi meno gravi legati all’uso di imatinib, giudicati dai medici curanti rilevanti sulla qualità della vita dei pazienti, si sono registrati in più della metà dei pazienti. Tra i più frequenti vi sono stati i crampi muscolari, astenia (debolezza), edema, fragilità della pelle, diarrea, lesioni a tendini o legamenti. Diciannove pazienti (pari al 2,3 per cento) hanno interrotto l'assunzione di imatinib a causa di questi effetti collaterali, almeno la metà di questi sono passati a terapie con uno degli altri farmaci mirati per la leucemia mieloide cronica, dasatinib e nilotinib, disponibili dal 2006.
Gli autori dello studio hanno concluso che i pazienti trattati con imatinib «spesso soffrono di effetti collaterali che non sono gravi, ma possono comunque ridurre la qualità della loro vita. Pertanto i risultati mettono in luce l'estrema importanza di una buona relazione tra operatori sanitari e pazienti, in modo particolare per quanto riguarda la comunicazione sugli effetti collaterali e la relativa terapia di supporto, che se effettuata in maniera corretta e mirata si rivela efficace a ridurre o evitare la non regolare assunzione di imatinib che puó comprometterne l'attivitá terapeutica.
«Questo è il primo tumore - ha concluso Carlo Gambacorti-Passerini - che ci ha permesso di dimostrare che è possibile ridare al paziente una aspettativa di vita normale. In questo senso, l’approccio utilizzato può essere un valido modello da seguire per la terapia degli altri tumori: prima identificare per bene il bersaglio da colpire (per ottenerlo è necessario conoscere la patogenesi molecolare di ogni tumore), e poi sviluppare un inibitore attivo e specifico, come l'imatinib».
L’articolo è accompagnato da un editoriale di analisi di B. Douglas Smith, MD del Sidney Kimmel Comprehensive Cancer Center della Johns Hopkins University di Baltimora.
Articolohttp://www.oxfordjournals.org/our_journals/jnci/press_releases/gambacortidjr060.pdf
Editorialehttp://www.oxfordjournals.org/our_journals/jnci/press_releases/smithdjr073.pdf
Il Prof. Carlo Gambacorti Passerini è professore associato di Medicina Interna presso l’Università di Milano-Bicocca, conduce attività clinica nell'Unità di Ematologia diretta dal Prof. Enrico Pogliani, ed è responsabile dell' Unità di Ricerca Clinica dell’Ospedale San Gerardo (diretto dal dr. Francesco Beretta) . Le sue ricerche sono finanziate in parte dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e dalla Fondazione CARIPLO.