Le previsioni del clima futuro sono anche questione di sfere

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Giovedì, 16 Giugno 2016

Milano, 16 giugno 2016 – Grazie ad una innovativa tecnica di misurazione e a una “storica” carota di ghiaccio estratta negli anni Settanta dalle profondità dell’Antartide orientale – mai studiata finora – un gruppo di ricercatori di Statale e Bicocca ha potuto studiare le proprietà delle microparticelle delle polveri minerali intrappolate negli strati di ghiaccio, ricavandone informazioni sul loro impatto sul clima del Pianeta.

Il risultato è stato davvero rilevante: l’effetto della non-sfericità delle particelle influisce sulla radiazione trasmessa al suolo attraverso l’atmosfera con variazioni fino al 30 per cento. Essendo tale parametro direttamente legato al forcing radiativo, ovvero alla quantità di energia trasmessa a terra dalle microparticelle sospese, questa metodologia innovativa fornirà, una volta applicata in modo intensivo alle carote di ghiaccio polari, una più corretta stima del loro contributo alle variazioni del clima terrestre.

Allo studio, i cui risultati sono appena stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature (Shape and size constraints on dust optical properties from the Dome C ice core, DOI: 10.1038/srep28162) ha lavorato una squadra di ricercatori composta dal professor Valter Maggi e dalla dottoressa Barbara Delmonte, dell’Università di Milano-Bicocca, e dal dottor Marco Potenza dell’Università degli Studi di Milano, che ha sviluppato anche la tecnologia utilizzata per l’indagine: la SPES (Single Particle Extinction and Scattering), che ha consentito di analizzare migliaia di microparticelle in pochi minuti.

«Non siamo i primi a dire che la forma di queste particelle è importante – hanno osservato Maggi, Potenza e Delmonte – ma siamo stati i primi a misurarla direttamente nelle polveri “fossili” e a valutare il loro impatto sul clima. Le polveri tendono ad avere un effetto climatico di raffreddamento anziché di riscaldamento e, se riusciamo a capire meglio il ruolo delle polveri nell’evoluzione climatica del passato, potremo prevedere con maggior precisione i cambiamenti climatici del futuro».

Presso il laboratorio EuroCold Lab, grazie alla stretta collaborazione fra l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Università degli Studi di Milano la tecnica SPES è stata applicata con l’obiettivo di misurare le proprietà delle microparticelle “intrappolate” negli strati di ghiaccio. Dopo oltre due anni di lavoro per mettere a punto le tecniche di indagine, anche attraverso accurate simulazioni numeriche, i ricercatori hanno ricavato le proprietà ottiche di centinaia di migliaia di particelle in diversi periodi climatici che coprono gli ultimi 25 mila anni. Tutto questo è stato possibile grazie alla carota di ghiaccio di Dome C, lunga circa 950 metri, estratta dalle profondità dell’Antartide orientale fra il 1977 e il 1978 e mai studiata in precedenza: gli studiosi ne hanno analizzato numerosi spezzoni dalla lunghezza di mezzo metro e dal diametro di 10 centimetri, sezionandoli per ottenere campioni di pochi grammi.

Le particelle, infatti, vengono conservate negli strati di ghiaccio  che, depositati anno dopo anno, raccontano la storia di ciò che si trovava nell’atmosfera nei millenni passati. Questo ha permesso di ricostruire come le polveri minerali naturali influenzassero il clima del Pianeta prima che gli esseri umani con l’industrializzazione ne modificassero il comportamento.

L’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) aveva evidenziato nel 2013 come uno dei fattori di maggiore incertezza nella stima dell’effetto delle polveri sul clima – al di là della loro variabilità spazio-temporale – fosse dato dalle proprietà ottiche delle particelle sospese in aria. Queste ultime sono legate alle dimensioni, alla forma, alla rugosità superficiale e alla mineralogia delle microparticelle stesse. Fino ad ora solo le dimensioni erano conosciute, mentre la loro forma era genericamente accostata a quella sferica.

Il metodo SPES (Single Particle Extinction and Scattering) ha permesso di superare l’approssimazione sferica grazie alla velocità nelle misurazioni e alla misura di due parametri per volta, invece di uno solo, per ciascuna particella: extinction, l’estinzione, cioè la quantità di luce solare rimossa dalla particella, e scattering, ovvero la luce diffusa.

È la prima volta che questo metodo innovativo viene applicato agli studi sul clima. Le carote di ghiaccio estratte dalla calotta dell’Antartide orientale contengono la più lunga e continua documentazione delle variazioni atmosferiche avvenute nel recente passato geologico e grazie alla perforazione “EPICA – Dome C” è noto che negli ultimi 800 mila anni la temperatura della Terra è ciclicamente variata, oscillando tra condizioni glaciali più fredde e fasi interglaciali più calde. Nell’ultimo massimo glaciale, culminato 21 mila anni fa quando l’anidride carbonica era ai livelli minimi, il carico di polveri nell’atmosfera era notevolmente superiore rispetto ad ora e in Antartide il flusso di deposizione delle polveri era circa 30 volte più alto rispetto a quello dell’attuale periodo interglaciale, l’Olocene.

La valutazione tramite modelli climatici dell’effetto delle diverse forme delle particelle minerali osservate è stata effettuata in collaborazione con il gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Natalie Mahowald della statunitense Cornell University, con cui lavora il dottor Samuel Albani, laureato all’Università di Milano-Bicocca.

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