Milano, 20 aprile 2009 - Nella corteccia cerebrale esiste un dispositivo per l'apprendimento dei vocaboli associato al funzionamento della memoria a breve termine (l'equivalente umano della RAM dei computer), che comprende un insieme di aree localizzate intorno alla scissura di Silvio. Tra queste aree vi è anche la famosa area di Broca, dal nome dello scopritore, area che gioca un ruolo di fondamentale importanza nel controllo delle funzioni linguistiche negli esseri umani.
Per anni si è ritenuto che l'apprendimento di nuovi vocaboli dipendesse dalla memoria a lungo termine, una convinzione basata sulle osservazioni fatte nel paziente Henry Gustav Molaison, più famoso agli addetti ai lavori come il "paziente HM": HM, vittima di un errore neurochirurgico non riusciva più ad accumulare nuovi ricordi, incluse nuove parole.Negli anni novanta studi comportamentali su soggetti normali e su pazienti con ampie lesioni dell' emisfero sinistro suggerivano anche un ruolo della memoria a breve termine verbale nell'apprendimento di parole di una lingua straniera. Mancava tuttavia una dimostrazione anatomo-fisiologica esplicita e dettagliata di tale ruolo.
Una nuova ricerca condotta dagli scienziati del dipartimento di Psicologia dell'Università di Milano-Bicocca, di prossima pubblicazione sulla rivista NeuroImage (Paulesu, E., et al., Supercalifragilisticexpialidocious: How the brain learns words never heard before, NeuroImage (2009), doi:10.1016/j.neuroimage.2008.12.043) dà una dimostrazione anatomica e fisiologica dell' importanza della memoria a breve termine nell'apprendimento di nuovi vocaboli, in accordo alle precedenti evidenze comportamentali su soggetti normali e su pazienti.
Tra "reclamo" e "gitolla" il ritmo della memoria
Frutto della collaborazione fra gli studiosi del dipartimento di Psicologia, del dipartimento di Neuroscienze e Tecnologie Biomediche dell'Università di Milano-Bicocca, del CNR di Roma e Milano, e dell' Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano, la ricerca ha interessato 12 soggetti sani dal punto di vista cognitivo che sono stati sottoposti a esperimenti di attivazione con la tecnica PET (tomografia ad emissione di positroni), per evidenziare le aree cerebrali implicate nell'apprendimento delle nuove parole.
I neologismi sono stati selezionati in modo tale da non essere facilmente associabili a parole italiane, tanto quanto la traduzione di una parola italiana in inglese produce associazioni totalmente arbitrarie dal punto di vista del suono delle parole (es. finestra-window; piazza-square; ecc.). I volontari dovevano, quindi, apprendere le nuove parole in associazione a parole reali: le "coppie" nate da questo match casuale, con le quali i volontari si sono misurati, danno luogo a suoni suggestivi; una sorta di ritmo della memoria: chirurgo-ponole, barile-ghevorta, reclamo-gitolla. Lo studio ha previsto anche un compito di controllo durante il quale i volontari hanno appreso più semplicemente coppie di parole esistenti (es: giardino-tiranno; pietra-gabbiano; abisso-confetto).
Preparato il materiale sperimentale, i volontari sono stati sottoposti ad una scansione cerebrale attraverso la PET, ossia una tecnica che produce immagini tridimensionali contenenti informazioni circa il flusso cerebrale delle diverse aree del cervello. La scansione è stata condotta durante il processo di apprendimento. Le immagini così raccolte, dopo una serie di analisi statistiche, hanno permesso di evidenziare quali fossero le aree maggiormente attivate durante l'acquisizione di nuovi vocaboli.
«La nostra ricerca ci ha permesso non solo di identificare le aree cerebrali implicate nell'apprendimento dei nuovi vocaboli - spiega Eraldo Paulesu, docente di Psicobiologia presso la facoltà di Psicologia dell'Università di Milano-Bicocca e coordinatore della ricerca - ma anche la dinamica di tale apprendimento: l'acquisizione di nuove parole sembra comunque un fenomeno prevalente dell'emisfero sinistro. La particolare predisposizione di tale emisfero ad imparare nuovi vocaboli è probabilmente un altro segno della sua dominanza per il linguaggio».
Un aiuto nella diagnosi dei disturbi del linguaggio
Le ricadute cliniche attese dai ricercatori coordinati dal professor Paulesu riguardano principalmente il miglioramento diagnostico di tipici disturbi del linguaggio come le disfasie e le dislessie evolutive che interessano i bambini, utilizzando tecniche non invasive, come, ad esempio, la risonanza magnetica funzionale. La conoscenza delle aree cerebrali sedi del dispositivo di apprendimento del vocabolario, potrà contribuire allo sviluppo di strumenti diagnostici per identificare ritardi del linguaggio con una base neurologica distinguendoli da manifestazioni di disagio prive di basi neurologiche. In futuro, una più precisa e rapida diagnosi di tali disturbi potrà consentire di iniziare precocemente e specificamente gli interventi di logopedia.